BELGIO – Con il diffondersi del nuovo Coronavirus in Europa molti Stati hanno cominciato ad adottare misure sempre più drastiche per contrastare l’aumento dei casi. Tra questi non fa eccezione il Belgio che ha deciso di intervenire in tal senso a partire dal 12 marzo scorso.
Stefania Moioli è una giovane valchiavennasca, classe 1992, che lavora come customer service representative presso un’azienda chimica dei Paesi Bassi. Da qualche mese, abita a Gent, in Belgio, e sta vivendo in prima persona le misure introdotte dalla nazione dove ha sede il Parlamento Europeo.
“Sono una frontaliera – spiega – a partire dal 16 marzo l’azienda ha implementato il lavoro da casa per tutti i dipendenti che possono svolgerlo. Sarà così almeno fino al 6 aprile. In Belgio, le prime misure sono state prese il 12 marzo, chiudendo ristoranti bar e discoteche. Il lockdown (blocco di tutte le attività non necessarie, ndr) è stato imposto dal 18 marzo fino al 5 aprile”.
Le misure introdotte dal governo belga sono simili a quelle adottate dall’Italia. Gli spostamenti dalla propria abitazione devono essere fatti per situazioni di necessità. Ma chi esce non deve munirsi di un’autocertificazione. Altra differenza sta nell’attività fisica all’aria aperta che è addirittura consigliata. “Purché vengano rispettate le distanze minime di sicurezza – continua la giovane valchiavennasca – è possibile fare jogging in compagnia di un membro della famiglia (che vive sotto lo stesso tetto) o al massimo di un amico”.
L’opinione pubblica belga sembrerebbe aver reagito bene alle misure introdotte. “Nonostante alcuni episodi – spiega Moioli – penso all’assalto ai supermercati, come accaduto in altri Paesi. Mi ha stupito, in negativo, che all’annuncio della chiusura di bar e discoteche siano stati organizzati dei veri e propri Lockdown party. Non mi è sembrata una buona idea. In linea di massima, mi sento abbastanza sicura. Esco di casa soltanto una volta alla settimana per fare la spesa”.
Sembrerebbe aver adottato un approccio diverso la vicina Olanda. “A mio parere non hanno preso abbastanza seriamente la situazione – conclude – Dal 15 marzo sono chiusi ristoranti, coffee shop ed altri luoghi di aggregazione. Ma non è stato imposto un lockdown. Dal 23 marzo sono state adottate misure più severe, ma la sensazione è che non abbiano agito abbastanza velocemente”.
Giovanni Meroni