SONDRIO – La situazione all’interno delle Rsa, anche nella provincia di Sondrio, sembra farsi di giorno in giorno sempre più delicata. La procura ha avviato un’inchiesta per appurare eventuali responsabilità per le tante morti, legate al Covid-19, che si sarebbero verificate nelle case di riposo.
Al netto del risultato delle indagini, però, sembra doveroso fare alcune riflessioni in merito alle tempistiche con le quali le varie Rsa hanno adottato le misure di contenimento come, ad esempio, il divieto di effettuare visite all’interno delle strutture.
Il DPCM del 4 marzo ha limitato l’accesso dei parenti alle Rsa e molte strutture, andando oltre le disposizioni ministeriali, hanno deciso di proibire completamente le visite. Alcune Case di riposo, però, avevano preceduto, anche di una ventina di giorni, i divieti “sigillando” di fatto le strutture già tra il 15 e il 25 febbraio.
La Rsa di Sondrio, che ad oggi non registra morti sospette Covid-19, il 24 febbraio aveva limitato ad un solo parente le visite, ribadendo ed inasprendo le restrizioni il 2 marzo, per poi sospendere qualunque accesso da parte dei familiari a partire dal 5 marzo.
Il 24 febbraio, attenendosi scrupolosamente alle misure in vigore, l’Ambrosetti-Paravicini di Morbegno aveva deliberato, invece, di sottoporre i visitatori ad un “Triage per valutare la presenza di sintomi sospetti” passando poi alla chiusura della struttura il 5 marzo.
Entrambe le Rsa hanno sospeso le attività dei Centro Diurni Integrati e dei Centri Diurni Disabili il 10 marzo.
Intanto le prime disposizioni organiche sulla gestione dell’emergenza all’interno delle Case di riposo emanate da Regione Lombardia risalgono al 30 marzo: a partire dalla quale viene data la possibilità di effettuare tamponi agli ospiti, le cui modalità di attuazione sono pervenute all’Ambrosetti-Paravicini solamente il 6 aprile e i cui primi esiti sono arrivati l’11, quando era già fin troppo chiaro che il virus fosse, purtroppo, penetrato nella struttura tanto che l’amministrazione aveva provveduto ad incrementare l’isolamento dei sospetti Covid già dall’otto aprile.
La scrupolosa applicazione delle direttive ministeriali e regionali – così come la loro anticipazione – non sono, certamente, motivi sufficienti per spiegare il diffondersi, o meno, del Covid-19. In una situazione grave, e inedita, come quella attuale nessuno poteva avere la “ricetta” giusta per uscire indenni dall’epidemia, prova ne è che anche nelle strutture che hanno anticipato la chiusura rispetto al 5 marzo si sono verificati contagi e decessi sospetti.
È possibile, però, avanzare una critica sulle direttive pervenute alle Rsa nel corso delle prime settimane di epidemia: sembrerebbe che tra il 24 febbraio e il 5 marzo le strutture che hanno adottato pratiche maggiormente stringenti rispetto a quelle consigliate abbiano avuto minore incidenza di casi – anche se ciò non è avvenuto in tutte le case di riposo e con le medesime modalità – mentre le Rsa che hanno seguito le disposizioni hanno avuto maggiori possibilità di dover far fronte ad una situazione emergenziale maggiormente acuta.
Michele Broggio