SONDRIO – Sono 2.132 i posti di lavoro “bruciati” in provincia di Sondrio dalla crisi economica innescata dal Covid-19. I numeri sono parziali, aggiornati al 3° trimestre del 2020, e riguardanti solamente le comunicazioni obbligatorie – ovvero la cessazione o l’attivazione di un contratto di lavoro subordinato – ma indicano, senza dubbio, una problematica ben presente sul territorio.
“Sicuramente – sottolinea Guglielmo Zamboni, segretario provinciale della Cgil – il 4° trimestre sarà peggiore rispetto al 2019 per evidenti ragioni, ma abbiamo voluto partire da dati certificati ed inconfutabili per poter analizzare il fenomeno occupazionale e le tendenze”. Dai dati emersi le cessazioni, pur calando a seguito del calo delle attivazioni, mantengono valori elevati con un forte scompenso tra attivazioni e cessazioni che mostra un significativo calo occupazionale. Il saldo attivazioni/cessazioni nel 2019 era positivo di 1665 unità, nei tre trimestri del 2020 ha un saldo negativo di 2132.
“L’ultimo anno – aggiunge Zamboni – penalizza le donne con 734 cessazioni in più rispetto ai colleghi uomini che, se sommato al gap sulle assunzioni, porta ad una differenza tra i due sessi di 1310. Anche in provincia di Sondrio la crisi ha penalizzato maggiormente l’occupazione femminile”.
Per arginare il problema occupazionale, secondo al Cgil, sarà necessario non solo prolungare il blocco dei licenziamenti – misura che ha contribuito ad arginare la crisi – ma anche la durata degli ammortizzatori sociali, Naspi prima di tutto.