MILANO – L’agricoltura intensiva, a causa del massiccio utilizzo di fitofarmaci di sintesi, costituisce un’importante fonte di compromissione della salute degli ecosistemi. Gli effetti delle sostanze chimiche impiegate, come diserbanti e pesticidi, sono tra le maggiori cause di perdita di biodiversità, perché colpiscono indistintamente specie utili, come gli insetti impollinatori e gli uccelli, e agiscono sulle comunità fungine e batteriche essenziali per la salute del suolo e delle piante.
Le conseguenze si ripercuotono a cascata su tutte le forme viventi che dipendono dalle comunità vegetali e dalle loro simbiosi, modificandone le risposte adattative. Il declino di quasi il 60% degli uccelli degli ambienti rurali europei, l’evidente decremento nelle specie di piante spontanee, di pesci, di insetti pone in modo sempre più sentito l’esigenza di modificare le pratiche che governano il territorio agricolo. L’utilizzo sempre più massiccio di prodotti chimici in agricoltura pone serie preoccupazioni per la salute umana, per la tossicità diretta che queste sostanze comportano e soprattutto, per gli effetti che riguardando l’intera catena alimentare.
Tra le centinaia di prodotti fitosanitari impiegati nei campi coltivati, il glifosato è il più utilizzato. Quasi un milione di tonnellate di questo principio attivo vengono distribuite su centinaia di milioni di ettari coltivati, in tutto il mondo. Il glifosato è una molecola di basso costo ed elevata efficacia e solubilità in acqua, attiva in modo assolutamente non selettivo verso un ampio spettro di specie di vegetali, funghi e microrganismi. La tossicità acuta del glifosato per l’uomo è relativamente bassa, ma a causa della sua vastissima diffusione, oltre alle esposizioni professionali è divenuto necessario considerare le conseguenze a lungo termine, relativi alla potenziale cancerogenicità, alla dannosità per cellule ed embrioni, alle interferenze con il sistema ormonale. Ed anche in ottica di salute globale (Global health), considerando che gli effetti sui microrganismi possono favorire la diffusione di batteri patogeni resistenti all’azione del glifosate, oltre che a quella dei comuni antibiotici. In Italia costituisce il pesticida di maggior impiego, tanto da costituire il 52% di tutti gli erbicidi utilizzati. Nel periodico report di ISPRA sulla presenza di pesticidi nelle acque, il glifosate e il suo metabolita (AMPA) costituiscono di gran lunga le sostanze più frequentemente rintracciate nelle acque superficiali, con oltre metà di tutti i campioni che supera i limiti di legge per uno o entrambi i parametri.
La presenza del pesticida nelle acque lombarde e i potenziali effetti salute sulla biodiversità delle comunità naturali legate alle acque sono stati analizzati in uno studio, supportato da Fondazione Cariplo e condotto dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Milano e da IRSA/CNR, i cui primi risultati sono stati presentati oggi a Milano in collaborazione con Legambiente Lombardia che, per l’occasione, ha illustrato un dossier sugli impatti del glifosato per la salute umana e gli ecosistemi, unitamente all’Atlante sui Pesticidi elaborato, nella sua edizione italiana, dalla Coalizione Cambiamo Agricoltura.
“Il nostro studio intendeva indagare il reticolo idrico secondario lombardo, ovvero la maglia fine di canali, rogge e fontanili che innerva la pianura lombarda e che non viene considerato dalle analisi di routine, che prelevano campioni da fiumi e corpi idrici principali. Il reticolo irriguo, specie nei primi mesi della primavera, riceve acque che drenano campi che hanno subito trattamenti di diserbo prima delle semine. Le piogge primaverili e le prime irrigazioni a scorrimento possono così trasportare grandi quantità di principio attivo, determinando possibili picchi di concentrazione nella rete scolante. I dati hanno fornito le evidenze attese, facendo registrare valori di inquinamento da glifosato e da AMPA molto elevati e preoccupanti anche in quanto si tratta delle stesse acque che vengono impiegate per l’irrigazione dei campi” dichiara Stefano Bocchi, docente di agronomia dell’Università di Milano.
“Il nesso tra agricoltura intensiva e salute globale è ormai largamente accettato dalla comunità scientifica. Tale correlazione pone l’esigenza di un cambiamento di modello che permetta di porre le conoscenze e le innovazioni dell’agricoltura moderna a servizio di una transizione agroecologica, a cui peraltro fanno riferimento anche le politiche più recenti adottate dall’Unione europea nell’ambito del Green Deal, come la strategia “from Farm to Fork” che stabilisce l’obiettivo, al 2030, di dimezzare l’impiego di pesticidi in Europa. Un obiettivo che richiede, per essere raggiunto, che l’UE decida di non rinnovare la licenza per l’impiego del glifosato alla sua scadenza, alla fine del 2023″ concludono Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia, e Federica Luoni, referente di LIPU nella coalizione Cambiamo Agricoltura.