ALTA VALTELLINA – Impianti di risalita chiusi in Lombardia e in tutta la zona arancione fino al 3 aprile. Un provvedimento reso ancor più necessario dopo che molti cittadini, nel fine settimana, hanno dimostrato scarso senso civico prendendo d’assalto gli impianti di risalita e assembrandosi in pericolose code.
Uno dei settori più in sofferenza a causa del dilagare del Coronavirus e delle doverose misure imposte dal Governo per provare ad arginare il diffondersi del Covid-19 è sicuramente quello turistico. I primi a pagare dazio sono state le società che gestiscono gli impianti di risalita che, la scorsa settimana, hanno avuto una notevole diminuzione degli utenti (soprattutto degli stranieri che hanno abbandonato le località turistiche valtellinesi per paura di doversi poi sottoporre a quarantene una volta rientrati nei Paesi di residenza) e che da domenica hanno abbassato le serrande.
E con gli impianti chiusi anche i numerosi operatori che vi lavorano sono stati mandati a casa. Per ora quasi tutti in ferie, poi nei prossimi giorni le varie componenti si incontreranno per trovare la formula migliore (Cassa integrazione o altro) per cercare di tutelare tutti i lavoratori del settore.
Tutti gli operatori turistici sono ovviamente d’accordo sulle misure restrittive imposte dal governo. “La salute prima di tutto”. Questo in estrema sintesi il messaggio. “Prima risolviamo il problema sanitario, al resto ci penseremo dopo”, le parole di Livio Lenatti della Valmalenco. A Bormio lavorano circa 100 impiantisti. “Sono tutti a casa, per ora in ferie – ci dice Fabio Giacomelli – poi vedremo il da farsi col passare del tempo. Ora dobbiamo pensare a far sì che si risolva il problema sanitario, poi penseremo al resto”.
Anche a Livigno – dove gli addetti al settore sono circa 390 – il fuggi fuggi generale è incominciato sabato sera con i gestori di noleggi e ski service che si sono dovuti precipitare in negozio richiamati da turisti pronti alla “fuga” che dovevano restituire sci e scarponi e saldare il conto.